Fumetti

 
E MARTIN MYSTÈRE SI ISPIRÒ AL 118 DI COMO
di Christian Galimberti.




Tutti pensano che il milanese Simon Drago sia un ordinario ispettore del ministero del lavoro. Ha la barba curata e lo sguardo severo. E parla attraverso un balloon dei fumetti. Ma dentro la vignetta del suo primo piano, nella china color profondo notte, c’è un ignoto motociclista che lo fa stare in pensiero. «Nell’ombra c’è un eterno mistero che debbo risolvere. Quello dell’agente senza nome. Chi è questo giovane al quale debbo la vita?».
I fan del "Corriere dei ragazzi" probabilmente si ricordano ancora quelle parole, ripetute come un mantra ad ogni puntata. Nella rivista che, a partire dal ’72, diventò il proseguimento del "Corriere dei piccoli". «L’agente senza nome» risale a quell’epoca. Ed è uno fra i tanti fumetti disegnati da Sergio Tuis, leggenda dei comics italiani. Ha 73 anni e da qualche tempo abita a Cermenate. Dove continua a disegnare storie. E a firmare, ancora oggi, qualche numero di "Martin Mystére" per la blasonata Sergio Bonelli (la famiglia di Tex e Dylan Dog). A ricordargli il suo Agente, Tuis sorride. «Ci furono tre sondaggi tra i lettori del "Corriere dei ragazzi". E di gran lunga, l’Agente senza nome era il personaggio più amato. Peccato che, personalmente, non mi sia mai piaciuto più di tanto. Erano storie standard. Forse grazie alla loro semplicità, tenevano incollato il lettore». L’Agente, ideato dal fumettista emiliano Pier Carpi, è un personaggio mitico. Per nulla pulp, farebbe comunque la sua degna figura in un film di Quentin Tarantino, il regista che cita in continuazione i poliziotteschi all’italiana. I disegni sono cinematografici. La trama è disarmante. «C’è questo ispettore Drago che in segreto lavora per una supersquadra speciale – spiega Tuis – ha un figlio hippie che suona la chitarra tutto il giorno e che viene considerato, né più né meno, uno smidollato. E invece l’Agente senza nome è proprio lui, il figlio fannullone». In sella ad una Harley Davidson, modello Elettra Glide, corre in aiuto del papi nei momenti peggiori, con una parrucca a caschetto e una mascherina. Siccome opera in incognito, si tiene aggiornato sui casi grazie a dei microregistratori, nascosti dentro i pacchetti di sigarette dell’ignaro padre. L’Agente è solo uno dei tanti personaggi disegnati da Tuis: disegnatore dal 1956, nel suo curriculum c’è ad esempio il cowboy Pecos Bill. Il mitico Diabolik delle sorelle Angela e Luciana Giussani. La Disney americana – con la versione a fumetti del film "Return to Oz" – e "Il Giornalino" della San Paolo. Per arrivare a casa Bonelli: "Martin Mystére", ma anche "Nick Raider" e un "Mister No"> incompleto. Senza dimenticare le storielle scollacciate dei Lanciostory. «Il fumetto per me è sempre stata un’occasione di fare arte – racconta Tuis – e proprio in quelle storie piene di signorine, è stato possibile avere una cura particolare per il disegno». Vi sono particolari a bizzeffe riprodotti con estrema cura. Non a caso, da Tuis giornali e riviste si trovano ovunque. Ci sono pile del quotidiano "La Provincia". «Tengo tutti i numeri e ritaglio le vostre foto quando mi servono. Per un albo di "Martin Mystére" cercavo un elicottero: ho riprodotto l’elisoccorso del 118 di Como». L’archivio è mastodontico. Tant’è che Tuis lascia l’auto in strada perché il garage è pieno di faldoni e cartelle. «Ho un’infinità di foto di New York che dopo l’11 Settembre sono diventate quasi inservibili». La guerra – vera o disegnata che sia – è una presenza nella vita del disegnatore. «L’infanzia, durante il fascismo, l’ho trascorsa a Parigi. Ma siccome mia madre non sopportava il sarcasmo nei confronti degli italiani, tornammo in patria. I miei primi disegni erano soldatini di carta da ritagliare, con cui giocare. Poi, quando divenni disegnatore, furono proprio le storie di guerra a darmi da lavorare».
Siamo a metà degli Anni Cinquanta. Nello studio di Roy d’Amy, a Milano, Tuis inizia con le prime tavole. «Storie tipo Battler Britton, pubblicate in Inghilterra. Dove ho anche lavorato per i settimanali "Sun" e "Knockout". Pagavano cinque volte tanto, ma erano esigenti. Gli inglesi, all’epoca, avevano degli archivi in grado di fornirti tutto ciò che una sceneggiatura richiedeva. Ma erano capaci di rimandarti da rifare ciò che era errato, fosse anche solo il numero di bottoni di una giacca militare». E ci sono state anche lunghe pause, nella carriera fumettistica di Tuis. Svelto a immergersi nella pittura. «Tra l’una e l’altra passione, sono un po’ come dottor Jekyll e Myster Hide». Roba da far rizzare i capelli. Come altre storie di mostri spaventose e dal titolo innocuo, vedi: «L’importanza di essere felici». Un horror disegnato da Tuis che è diventato persino un punto di riferimento per le generazioni future di fumettari: le tavole sono usate per le lezioni in una scuola del fumetto di Roma. Il merito di riassumere tanta fatica spetta al nostro Claudio Villa, il copertinista di Tex «nostrano» che disegna da Albavilla. Quando parla di Tuis, gli basta una parola: «Maestro».




Copertine per Pecos Bill (1963):

1 commento:

Sergio Tuis ha detto...

per scrivere questa sezione bisognerebbe che mi prendessi una vacanza!